Armin Greder
24 settembre 2009 di Laura Ogna
Armin Greder

Dopo aver collezionato numerosi premi con il libro “L’isola”, Armin Greder è tornato in libreria con “La città”; una favola d’oggi sul rapporto tra madre e figlio, dove alla morte della madre corrisponde la crescita del figlio. Anche questa volta a tradurlo per le edizioni Orecchio Acerbo ci ha pensato Alessandro Baricco. La scrittura è scarna e incisiva, le immagini fanno da contrappunto al breve racconto, altrettanto essenziali e forti.

Abbiamo intervistato Armin Greder quando è venuto in Italia per presentare questo libro ora tradotto in Italia ma scritto una decina di anni fa dallo scrittore ed illustratore svizzero da tempo trasferitosi in Australia.

Come è nato il libro La città, una storia che parla di sentimenti e legami primordiali e vitali ma che spesso possono diventare soffocanti?

La città racconta il rapporto tra un figlio e una madre possessiva. Un tema a me vicino per più di una ragione. Così l’interesse è stato inevitabile. E non è un’esagerazione dire che sono nato con questo tema. D’altra parte le idee per scrivere una storia nascono sempre da soggetti che personalmente mi interessano e appassionano. Con un soggetto così personale non sarebbe stato irragionevole trasformare la scrittura di questo libro in una sorta di terapia, il confronto dello scrittore con il suo intimo, al termine del quale lo scrittore esce purificato, i conflitti risolti, la relazione tra lui e la madre risolta in modo da poter infine vivere felicemente insieme. La realtà è differente: l’idea della storia mi è arrivata come mi accade di solito: un giorno vedo che c’è una storia che vuole essere raccontata e che io potrei trovare il modo per raccontarla. Questa è stata la mia motivazione. Lo scrivere può comunque esorcizzare alcuni dei demoni che ciascuno ha. Ovviamente l’inconscio ha un ruolo importante quando si scrive. Quanto e cosa ci sia di me nelle storie mi è difficile dirlo. Ciò che conta alla fine è che la storia cammini e funzioni al di là di questioni personali e nelle quali può esserci stato l’inizio proprio di quella storia.

Ritiene che oggi sia importante ridiscutere il rapporto genitore-figlio?

Quando penso ai legami tra i genitori ed i loro figli mi viene n mente la metafora biblica della mela: se la lasci perdere ci si prenderà cura di te e vivrai nell’eden, se invece la mangi tu sarai libero di fare ciò che vuoi ma sarai solo. Nella mia infanzia vigeva la regola che il padre doveva lavorare, e la madre provvedere alla casa e ai figli. Semplificando: il ruolo della madre era di prendersi cura, quello del padre di rappresentare l’autorità. Che sia stata la soluzione giusta oppure no me lo sono chiesto spesso. Ad ogni modo è con questa impostazione che io sono cresciuto. Poi quando negli anni Sessanta l’idea di libertà si è fatta strada ci si cominciò a porre delle domande anche sull’essere genitori. Tutte le tradizioni furono passate alle scanner. Le regole furono messe in dubbio. C’era la possibilità di avere delle alternative. Le regole erano state abbattute. Tutto questo era bello ma in pochi erano realmente pronti per affrontarlo e di conseguenza le cose diventarono labili. Poi al vertice di tutto cominciarono ad esserci i soldi. Entrambi i genitori oggi lavorano. Il valore è stato rimpiazzato dal prezzo. L’affetto dei figli comprato con Playstation, telefoni cellulari, e oggetti firmati. Guardando gruppi di adolescenti in un centro commerciale il sabato pomeriggio vedo tante anime perse vestite alla moda, aspiranti inconsciamente al paradiso che i loro padri e le loro madri hanno perso.

Il libro è stato pensato per un pubblico di piccoli lettori ed anche per gli adulti?

Il riferimento a chi potesse essere il lettore era molto lontano da me mentre lavoravo alla storia. In altre parole ho scritto questo libro per me stesso. Ora guardando il risultato da una certa distanza, anche perché da quando l’ho scritto sono passati ormai 15 anni, vedo nella natura della storia un parallelo con le fiabe tradizionali, come quelle dei Fratelli Grimm. Storie che parlano di vittime indifese, di circostanze al di là della loro comprensione, come la morte della propria madre. Immedesimarsi nel protagonista può aiutare i bambini di oggi a trovare una speranza in un eventuale lieto fine alle proprie calamità. E poi ci sono gli adulti, in particolare quelli che sono diventati genitori. Normalmente un libro illustrato è considerato per bambini ed il livello fiabesco si combina bene con La città. Ma il mio intento reale è che questa storia fosse una condanna della tirannia e dell’egoismo che spesso si nasconde sotto l’apparenza dell’amore.

Nella sua mente un libro nasce prima ad immagini oppure con una storia?

I pensieri vanno e vengono, ora uno è qui e l’altro è là. Poi succede che uno si installa da qualche parte nella mente come un occupante abusivo e comincia a rovistare attorno finché sono costretto a confrontarmi con lui. Ma mi metto a scrivere  a disegnare solo quando l’idea è diventata consistente a sufficienza per voler diventare una storia. A quel punto scrittura e disegno si spingono l’un altro e discutono tra loro finché non sono entrambi soddisfatti.

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