Oliver Tallec
21 gennaio 2015 di Laura Ogna
Oliver Tallec

È un segno poetico, lieve ma anche struggente quello di Oliver Tallec l’illustratore che ha dato forme e colori a fiabe antiche e moderne, albi illustrati, fumetti per lettori grandi e piccoli. Tenere, dolci ma anche molto intense e forti sono le storie che lui ha scelto di illustrare. A partire da “Bisognerà” (Lapis), ormai un classico, fino ai recenti “Lupo & lupetto” (Edizioni Clichy) di cui sono usciti già due volumi mentre il terzo è atteso in primavera. Proprio con “Lupo & Lupetto” l’illustratore francese ha vinto il “Premio Nati per leggere 2014”. Il 28 gennaio Oliver Tallec sarà al Salone Off 365 di Torino con due appuntamenti organizzati in collaborazione con Edizioni Clichy, Premio nazionale Nati per Leggere e Alir – Associazione Librerie Indipendenti per Ragazzi. Abbiamo avuto l’opportunità di sentirlo e scoprire un po’ dove e come nasce il suo lavoro.

Come sei arrivato a fare l’illustratore?

Per un azzardo. Conoscevo poco la letteratura per ragazzi. Un editore un giorno mi ha proposto d’illustrare un album, poi un secondo, etc… è accaduto così. Ed io ho scoperto un universo estremamente ricco.

Raccontaci il tuo percorso.

E’ stato un percorso molto classico. Ho studiato arte a Parigi, poi ho lavorato per un periodo in un’agenzia grafica e di pubblicità dove mi sono molto annoiato. Ho così cominciato a sondare l’interesse di alcuni editori portando alcuni miei disegni, una manciata di disegni che tenevo in una cartelletta. E così è iniziato tutto.

Fai un sacco di cose, album illustrati, fumetti, vignette per la stampa illustrazioni per altri autori. Vi è una differenza di approccio a questi generi e, nel caso, quale?

Mi piace lavorare su più versanti. Lo trovo anche necessario. Perché c’è quasi una difficoltà di riconoscibilità quando si lavora solo per la letteratura per l’infanzia. Credo che alcuni autori soffrano un po’ questa visione limitata. Per questo è difficile lavorare solo per l’illustrazione per ragazzi. Come se fosse visto come un sottogenere. Mi sono dedicato alla letteratura per ragazzi per 15 anni prima di affrontare progetti anche per l’editoria rivolta agli adulti. A volte ne ho abbastanza di rivolgermi unicamente a dei bambini (di non potere essere più crudo, di non poter dire certe cose anche se oggi si possono affrontare molti argomenti) ma contemporaneamente a volte ho proprio bisogno di ritornare alla letteratura per  l’infanzia. Ed è un vero piacere. Credo che le due attività si integrino molto bene, una alimenta l’altra.

Quali sono gli illustratori che hanno segnato la sua infanzia e poi la tua formazione d’illustratore?

In realtà pochi … Mi ricordo molto bene di un libro sulla storia di pirati, illustrato da un illustratore inglese realistico di cui però ho dimenticato il nome e che ho rivisto recentemente da un bouquiniste (venditore di libri ambulante lungo senna n.d.r.). Ho anche dei ricordi di classici di Père Castor, di cui in particolare l’album Poule Rousse . E… illustrazioni del manuale d’istruzioni del robot da cucina Seb di mia madre.

Cosa ne pensi della letteratura per bambini di oggi?

È un panorama molto ricco, non abbiamo mai avuto così tanti libri sui temi più svariati e, paradossalmente, il mercato è completamente saturo, ci sono tantissimi libri e le stesse librerie non riescono più a farvi fronte. A causa della crisi le tirature diminuiscono, gli editori fanno scelte sempre meno rischiose, si cerca di replicare ciò che funziona altrove, di ridurre i costi un po’ dappertutto, ma nonostante questo ogni anno si vedono ancora dei bellissimi album.

Qual è il tuo rapporto con gli scrittori? Cercano di impostare la loro “visione” o ti lasciano interpretare liberamente il testo secondo la tua sensibilità e creatività?

Raramente ho dei contatti con gli autori, ad eccezione di qualcuno che conosco da tempo. L’unico mio interlocutore è il mio editore. Ho un bisogno crescente di raccontare storie e talvolta di raccontare storie nelle storie. Penso che un illustratore sia un co-autore di una storia. E penso che sia proprio questa libertà che a volte si prende l’illustratore, che mancava in molti libri del primo Novecento. Mi chiedo sempre quando inizio un libro cosa i miei disegni siano in grado di aggiungere a un testo. È un po’ come il lavoro di un traduttore, è come interpretare un testo, quanto lontano possiamo andare?

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